Il processo si tenne nel 399 a.C. innanzi a una giuria di 501 cittadini di Atene e, com'era da aspettarsi per una figura come quella di Socrate, fu atipico: egli si difese contestando le basi del processo, anziché lanciarsi in una lunga e pregevole difesa o portando in tribunale la sua famiglia per impietosire i giudici, come di solito si faceva. Fu riconosciuto colpevole per appena trenta voti di margine. Dopodiché, come previsto dalle leggi dell'Agorà, sia Socrate sia Meleto dovettero proporre una pena per i reati di cui l'imputato era stato accusato. Socrate sfidò i giudici proponendo loro di essere mantenuto a spese della collettività nel Pritaneo, poiché riteneva che anche a lui dovesse essere riconosciuto l'onore dei benefattori della città, avendo insegnato ai giovani la scienza del bene e del male. Poi consentì di farsi multare, seppur di una somma ridicola (una mina d'argento dapprima, cioè tutto quello che egli possedeva; trenta mine poi, sotto pressione dei suoi seguaci, che si fecero garanti per lui). Meleto chiese invece la morte. Furono messe ai voti le proposte: con ampia maggioranza (360 voti a favore contro 140 contrari), più per l'impossibilità di punire Socrate multandolo di una somma così ridicola che per l'effettiva volontà di condannarlo a morte, gli ateniesi accolsero la proposta di Meleto e lo condannarono a morire mediante l'assunzione di cicuta.

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