La vitiligine è una malattia cronica della pelle, non congenita, caratterizzata da ipomelanosi o leucodermia cioè dalla comparsa sulla cute, sui peli o sulle mucose, di chiazze non pigmentate, cioè zone dove manca del tutto la fisiologica colorazione dovuta alla melanina, e che appaiono bianche o traslucide. È completamente infondata la credenza che tale malattia sia contagiosa.

Allo stato attuale delle conoscenze è considerata un disturbo primitivo, acquisito, poligenico e multifattoriale, con una eziopatogenesi complessa ed elusiva alla quale parteciperebbero fattori sia genetici, sia immuno-mediati, sia endocrini e metabolici, sia infiammatori, e secondo alcune teorie, anche neurali o virali. Pertanto la vitiligine viene oggi interpretata come una sindrome nella quale diversi fattori causali possono, da soli o in sinergia, indurre la scomparsa o la perdita di funzionalità dei melanociti cutanei in soggetti geneticamente predisposti.

I fattori di rischio includono una storia familiare della condizione o di altre malattie autoimmuni, come l'ipertiroidismo, l'alopecia areata e l'anemia perniciosa.

La vitiligine non incide sulla speranza di vita, ma può avere pesanti ripercussioni psicologiche sulla sua qualità, in particolar modo se si manifesta sul volto.

Alcune leucodermie indotte da fattori ambientali, in particolare dall'esposizione ad alcune sostanze chimiche, possono essere chiamate vitiligine da contatto o vitiligine occupazionale.

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