Fulcro dell’azione l’Olimpiade di Berlino 1936, dove Owens si mise al collo quattro medaglie d’oro in sette giorni: 100 metri, salto in lungo, 200 metri e staffetta 4x100. Il poker del ragazzo prodigio dell’Alabama (poi trasferitosi a Cleveland, Ohio) nella Germania nazista, a Berlino sotto gli occhi del Fuhrer, ha permesso alla stampa mondiale di creare il caso della discriminazione razziale di Owens, detestato dal ministro della propaganda del terzo Reich Joseph Goebbels e snobbato da Adolf Hitler, che si sarebbe rifiutato di stringergli la mano. «In realtà, mio padre non si è mai sentito snobbato da Hitler» ha certificato Marlene agli sceneggiatori del film, Joe Shrapnel e Anna Waterhouse, che hanno corretto nel copione il più celebre e antico fraintendimento della storia dello sport. «In retrospettiva, mio padre fu profondamente ferito dal fatto che Franklin Delano Roosevelt, il presidente americano dell’epoca, non l’avesse ricevuto alla Casa Bianca». Per nulla supportato da Avery Brundage, filonazista, all’epoca presidente del Comitato olimpico statunitense (poi numero uno del Cio dal ‘52 al ‘72), Owens si vide cancellare - e mai più riprogrammare - un appuntamento da Roosevelt, impegnato nelle elezioni presidenziali del ‘36 e preoccupato della reazione che avrebbero avuto gli Stati del Sud. Roosevelt verrà rieletto, Owens per reazione si iscriverà tra le file dei repubblicani, facendo campagna elettorale per il candidato Alf Landon.

Più informazioni: www.corriere.it