Vi sarà capitato di stare in coda alla cassa al supermercato e afferrare un Kit Kat all’ultimo momento prima di pagare. Se vi trovaste in Giappone questo gesto vi richiederebbe forse lo stesso impegno che mettete per decidere cosa vedere su Netflix: in un negozio qualunque vi trovereste davanti a decine e decine di gusti, dimensioni e colori disparati; ma potreste pure finire in un Chocolatory Kit Kat, una boutique che vende le versioni più raffinate e costose dello snack, spesso ridotto a un unico lingottino confezionato in carta preziosa. In Giappone il Kit Kat non è un semplice dolcetto ma, grazie a un’intelligente campagna di marketing, ha avuto un successo commerciale enorme ed è diventato uno dei dolci più popolari, spesso scambiato per prodotto tipico del paese. La storia del Kit Kat, ora prodotto dalla multinazionale svizzera Nestlé, iniziò nel 1935, quando venne messo in vendita per la prima volta a York, in Regno Unito, dall’azienda di dolciumi Rowntree’s: si chiamava Rowntree’s Chocolate Crisp e costava due penny. Fu il direttore del marketing George Harris a rinominarlo Kit Kat nel 1937, ispirandosi al nome di alcuni dolcetti inglesi che risaliva alla fine del Diciassettesimo secolo e al club letterario organizzato nel locale di Christopher Catling. Catling serviva ai suoi ospiti tortine di montone che venivano chiamate in suo onore Kit Cat: Kit è un soprannome usuale per Christopher, Cat è il diminutivo di Catling.

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